[EPR/2011/06/06 it]
Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi
Dichiarazione sulla retta applicazione del can. 1382 CIC
- Il Pontificio Consiglio per i
Testi Legislativi è stato sollecitato a chiarire alcuni
particolari riguardanti la retta applicazione del can. 1382 CIC,
in rapporto soprattutto con le responsabilità canoniche dei
soggetti coinvolti in una consacrazione episcopale senza il
necessario mandato apostolico.
La questione, in quanto tale, non solleva
dubbi di diritto propriamente tali, ma richiede soltanto talune
delucidazioni utili all'adeguata conoscenza dei punti più
salienti della norma penale e al modo in cui essa debba
ritenersi applicabile ai casi concreti, tenendo conto delle
circostanze personali dei soggetti che prendono parte alla
commissione del delitto.
- Come è noto, il can. 1321
definisce il delitto come la violazione esterna di una legge o
di un precetto, gravemente imputabile per dolo o per colpa. Il
canone aggiunge che, posta la violazione esterna, si presume
l'imputabilità, salvo che non appaia altrimenti (can. 1321 § 3).
Perché esista il reato è sufficiente che il reo sappia che sta
violando una legge canonica; non è necessario che sappia che
alla legge canonica è annessa una pena.
Il can. 1382 CIC punisce con scomunica latae
sententiae riservata alla Sede Apostolica il Vescovo che senza
mandato apostolico consacra qualcuno Vescovo e anche quanti in
questo modo ricevono l'ordinazione episcopale. Tale delitto
viola la dottrina cattolica confermata, tra l'altro, dalla cost.
dogm. Lumen gentium nn. 22 e 24 e dal decr. Christus Dominus n.
20, e accolta nel can. 377 § 1 CIC: “Il Sommo Pontefice nomina
liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati
legittimamente eletti”, e nel can. 1013 CIC: “A nessun Vescovo è
lecito consacrare un altro Vescovo se prima non consta del
mandato apostolico”.
Il can. 1382 CIC è, anzitutto, una norma
disciplinare della Chiesa che, come segnala il can. 11 CIC, vale
unicamente per i battezzati nella Chiesa cattolica o per quanti
in essa sono stati già accolti. Inoltre, corrisponde col reato
tipizzato dal Codex Canonum Ecclesiarum Orientalium nel can.
1459 § 2, anche se nella tradizione penale di quelle Chiese non
esistono pene latae sententiae, per cui la stessa pena viene
inflitta ferendae sententiae.
- Il delitto sancito dal can.
1382 CIC è commesso sia dal Vescovo che consacra sia dal
chierico che è consacrato. Inoltre, essendo quello della
consacrazione episcopale un rito in cui è solita la
partecipazione di più ministri, coloro che assumono detto
compito di co-consacranti, e cioè impongono le mani e recitano
la preghiera consacratoria nell’ordinazione (cfr. Caeremoniale
Episcoporum nn. 582 e 584 ), risultano coautori del reato e
quindi ugualmente sottoposti alla sanzione penale. Tale
interpretazione risulta anche confermata dalla tradizione della
Chiesa e dalla sua recente prassi.
- Per quanto riguarda, invece,
la punizione del delitto, la pena di scomunica prevista dal can.
1382 CIC è sottoposta alle comuni condizioni richieste dalla
legge canonica perché si incorra in una sanzione latae
sententiae effettivamente e con certezza. Com'è risaputo, oltre
alle comuni sanzioni penali ferendae sententiae inflitte
dall’Autorità legittima per mezzo di una sentenza o di un
decreto a conclusione delle corrispondenti procedure penali,
nell'ordinamento canonico vi sono anche le cosiddette pene latae
sententiae, che non dipendono da un giudice esterno che le
imponga, ma solo dal compimento del delitto, fatto salvo quanto
è prescritto dal can. 1324 § 3. Quest'ultimo esime dalla
specifica pena latae sententiae se si verificano circostanze
che, a norma del § 1 dello stesso canone, pur non escludendo la
pena in quanto tale, la mitigano. Il canone 1324 § 3, infatti,
specifica che il reo non incorre nella pena latae sententiae se
esiste una delle circostanze elencate nel can. 1324 § 1.
Pertanto ciascun soggetto, nel caso di una
consacrazione episcopale senza mandato apostolico, va
considerato singolarmente e secondo le proprie circostanze
personali per quanto attiene all'incorrere nella pena di
scomunica latae sententiae riservata alla Santa Sede. Dette
circostanze personali possono essere molto diverse e, in taluni
casi, possono costituire circostanze attenuanti previste dalla
legge. Al riguardo, il can. 1324 § 1 CIC segnala che l'impeto
passionale, la minore età, il timore grave, anche soltanto
relativamente tale, la necessità, l'ingiusta provocazione, o
l'ignoranza della pena canonica, per esempio, sono circostanze
attenuanti che escludono la pena latae sententiae nelle forme
indicate dalla legge.
Poche di queste circostanze possono essere
configurabili nel reato di consacrazione senza mandato. C'è,
però, un insieme di attenuanti delineate dal can. 1324 § 1, 5°
CIC che la storia ha dimostrato compatibili con delitti di
questa natura: quando la persona, che commette il delitto come
ordinante o come ordinato, è “costretta da timore grave, anche
se soltanto relativamente tale, o per necessità o per grave
incomodo”. Nel concreto caso di una consacrazione episcopale
senza mandato, l'attenuante del timore grave o del grave
incomodo (o l'esimente della violenza fisica) va, dunque,
verificata in merito a ciascuno dei soggetti che intervengono
nel rito: i ministri consacranti e i chierici consacrati.
Ciascuno di loro conosce in cuor suo il grado del personale
coinvolgimento e la retta coscienza indicherà a ognuno se è
incorso in una pena latae sententiae.
- In merito alle responsabilità
canoniche dei soggetti coinvolti in una consacrazione episcopale
senza il necessario mandato apostolico va comunque aggiunto
quanto segue.
Porre esternamente un atto punito dal can. 1382 CIC
provoca spontaneamente nei fedeli delle reazioni, anche di
scandalo e di confusione, che in nessun modo possono essere
sottovalutate e che postulano – nei Vescovi coinvolti – la
necessità di ricuperare autorevolezza mediante segni di
comunione e di penitenza, che possano essere apprezzati da tutti
e senza i quali il governo pastorale del Vescovo “difficilmente
potrebbe essere recepito dal Popolo di Dio come manifestazione
della presenza operante di Cristo nella sua Chiesa” (Pastores
gregis n. 43). Essi, infatti, come insegna il Concilio Vaticano
II, reggono le Chiese particolari loro affidate “con il
consiglio, la persuasione, l'esempio” (cost. dogm. Lumen gentium
n. 27; cfr. can. 387 CIC).
Inoltre, si ricorda che il can. 1331 § 1 CIC segnala
che, allo scomunicato, è proibito: 1) prendere parte come
ministro alla celebrazione dell’Eucaristia o di qualunque altra
cerimonia di culto pubblico; 2) celebrare sacramenti e
sacramentali e ricevere qualunque sacramento; 3) esercitare
funzioni ministeriali ecclesiastiche e porre atti di governo.
Queste proibizioni scattano ipso iure dal momento stesso in cui
si incorre in una pena latae sententiae. Non occorre perciò che
intervenga alcuna Autorità che imponga al soggetto dette
proibizioni: la consapevolezza del proprio delitto è sufficiente
perché chi è incorso nella sanzione sia tenuto davanti a Dio ad
astenersi da tali atti, pena la commissione di un atto
moralmente illecito e pertanto sacrilego. Tuttavia, anche gli
atti derivanti dalla potestà di ordine e realizzati nelle
succitate circostanze di sacrilegio sarebbero validi.
- Com'è ovvio, tutto quanto
precede non esclude che, nei casi di ordinazione episcopale
senza mandato pontificio, la Santa Sede possa trovarsi nella
necessità di infliggere direttamente al soggetto delle censure,
per esempio, qualora dalla sua condotta successiva o dalla sua
riluttanza a fornire le necessarie spiegazioni circa il proprio
grado di partecipazione al delitto emergesse un atteggiamento
non compatibile con le esigenze della comunione. Inoltre,
sopraggiunte nuove e certe informazioni, la stessa Santa Sede
potrebbe addirittura trovarsi nella necessità di dichiarare la
scomunica latae sententiae, o di imporre altre sanzioni o
penitenze, se ciò si rendesse necessario per riparare lo
scandalo, per dissipare la confusione dei fedeli e, più in
generale, per salvaguardare la disciplina ecclesiastica (cfr.
can. 1341).
La pena della scomunica latae sententiae stabilita
dal can. 1382 CIC è una censura riservata alla Santa Sede. In
quanto censura, è una pena detta “medicinale”, perché ha per
finalità muovere il reo al pentimento: una volta che ha
dimostrato di essersi sinceramente pentito, questi acquista il
diritto di essere assolto dalla scomunica. Inoltre, essendo
riservata alla Santa Sede, solo ad essa può rivolgersi il reo
pentito per ottenere l'assoluzione dalla scomunica,
riconciliandosi con la Chiesa.
Dal
Vaticano, 6 giugno 2011
+ Francesco Coccopalmerio, Presidente
+ Juan Ignacio Arrieta, Segretario
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